Ciascuna persona in grado di scrivere può redigere senza costo alcuno il proprio testamento che, in tal caso, viene tecnicamente denominato testamento olografo.
Tuttavia tale testamento, per essere valido, deve tassativamente rispettare i seguenti tre requisiti:
- essere integralmente manoscritto dal solo testatore, senza l’intervento di altre persone (niente computer, macchine da scrivere, né l’ausilio di altri);
- essere datato dal testatore;
- essere sottoscritto dal testatore.
Il testamento NON deve recare la firma di altri soggetti es. di testimoni, poiché resta un atto personale e privato del testatore.
Un’importanze avvertenza è, a tal proposito, evitare il seguente errore che rende il testamento invalido e che spesso è commesso da coniugi senza figli: marito e moglie, su uno stesso foglio dispongono l’uno in favore dell’altro, quindi datano e sottoscrivono entrambi! Per redigere un testamento valido tutelandosi reciprocamente, debbono invece, pur decidendo di disporre l’uno in favore dell’altro, redigere ciascuno, personalmente, il proprio testamento rispettando i requisiti di cui ai punti 1), 2), e 3).
Una volta redatto il testamento, anche in forma privata, è possibile affidarlo in custodia ad un notaio di fiducia.
Qualsiasi testamento non è un atto definivo: è possibile cambiare le proprie volontà ogni volta che si desidera. E’ sufficiente redigere un nuovo testamento. Se esistono più testamenti, quello valido sarà l’ultimo redatto in ordine di tempo; in tal caso, a scanso di equivoci, sarà bene specificare che, con il nuovo testamento, si intende revocare qualsivoglia precedente disposizione.
Occorre precisare che, se il giorno del matrimonio, non si decide di optare per il regime della separazione dei beni, la coppia si trova automaticamente sposata in regime di comunione.
Tale regime, cosiddetto di comunione legale, è stato introdotto nel 1975 a tutela del coniuge cd. debole, di norma la donna, in una società molto diversa da quella attuale: all’epoca la moglie era spesso casalinga, ma grazie al proprio lavoro domestico, contribuiva comunque ai bisogni della famiglia.
La conseguenza principale del regime di comunione è che tutti gli acquisti effettuati durante il matrimonio (es. acquisto di un immobile) automaticamente cadono in comunione, vale a dire sono nella misura del 50% di proprietà di ciascun coniuge, anche se costui non avesse partecipato all’acquisto.
La conseguenza negativa che può comportare il regime di comunione dei beni consiste nella possibilità, da parte di eventuali creditori del singolo coniuge, di aggredire il bene comunque; in caso di fallimento dell’unione coniugale inoltre, il coniuge che non avesse partecipato all’acquisto del bene, potrebbe legittimante ottenere il 50% dello stesso.
Giova precisare che restano di proprietà del singolo coniuge – anche in regime di comunione legale – tutti i beni acquisti effettuati dal medesimo prima del matrimonio, nonché i beni acquistati per successione (eredità o legato).
I coniugi, anche dopo il matrimonio, possono comunque decidere di cambiare il regime patrimoniale rivolgendosi ad un notaio.
Tale principio trova spiegazione nel fatto che un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (un tempo che talvolta può purtroppo essere molto lungo).
L’assegno divorzile, invece, decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, perché tale assegno deriva dal nuovo status delle parti (che con il divorzio cessano di essere marito e moglie), ma il giudice – anche in assenza di richiesta sul punto, in relazione al singolo caso concreto posto – può sempre decidere di anticiparne la decorrenza.
Resta inteso che gli importi di tali assegni possono sempre oggetto di revisione in favore dell’uno o dell’altro coniuge; a tal proposito due esempi: il caso del marito che, divenuto anziano ed ammalato assista ad una riduzione della propria capacità lavorativa e, magari, si trovi anche ad affrontare nuove ed ingenti spese mediche; il caso della moglie, prima disoccupata, che trovi un impiego lavorativo.